mercoledì, novembre 29, 2006
domenica, novembre 26, 2006
VOGLIA DI TENEREZZA
Vi sembrerà strano che in un blog dedicato alla didattica ci sia posto per un film come “Voglia di tenerezza”, ma, d’altra parte, vi ho già stupiti con “Full Monty”, quindi me lo posso permettere...
Perché proporre “Voglia di tenerezza”? Beh, l’idea è venuta ad un mio professore della S.S.I.S., ed io ve la giro. Questo film non è altro che la rivisitazione, in chiave moderna, di un famoso dramma di Euripide, l’“Alcesti”. L’opera di Euripide in realtà è un dramma satiresco, il che significa che, pur avendo tutti gli elementi di un dramma, presenta una fine lieta (in questo caso, niente a che vedere con i satiri, a differenza del dramma satiresco classico). Nel caso di “Voglia di tenerezza”, invece, la fine non è per niente lieta, ma tant’è, i personaggi ci sono tutti.
L’opera cinematografica in questione è del 1983 e dimostra assolutamente la sua età nella moda e nelle acconciature dell’epoca. A salvare il tutto, però, ci pensano i protagonisti: una Shirley MacLaine in stato di grazia, una Debra Winger arruffata ma intensa, un Jack Nicholson play-boy in rovina, ed anche un Jeff Daniels che dimostra bene tutta l’indifferenza e la fragilità del suo personaggio. Il regista, James L. Brooks, ha confezionato, tutto sommato, un buon prodotto, che risponde bene allo scopo per cui è stato pensato: e cioè piangere!
Non dimentichiamoci che questi sono gli anni anche di “Love Story”...
Perché proporre “Voglia di tenerezza” a scuola? E come? Beh, c’è da dire che va fatto un forte lavoro preparatorio sul film, spiegando per esempio le nuove funzioni che assumono i personaggi che passano da opera teatrale a film (Alcesti che passa da leggiadra ma forte regina a casalinga disperata, Eracle che diviene astronauta in disgrazia, Admeto che dimostra il suo essere infantile tradendo Emma-Alcesti) e chiarendo il ruolo dei nuovi personaggi (la madre di Emma, l’amica del cuore). È necessario, inoltre, spiegare anche il nuovo finale, con una Alcesti che non torna dal regno dei morti, ma che consegna il marito nelle mani della migliore amica, mentre nel dramma euripideo la protagonista vieta assolutamente al coniuge di risposarsi.
C’è poi da dire che la prima ora e mezza del film, con l’illustrazione dei rapporti di Emma con la madre e con il marito, risulta avere un solo fine, e cioè quello di far affezionare lo spettatore alle vicende della protagonista, per poi infliggergli lo strazio della morte dell’eroina. Interessante invece proprio la scena della morte, assai simile al precedente greco, con Emma che tiene fino in fondo le fila della sua famiglia, che si fa portare i figli, che ammaestra il marito, che consegna la propria famiglia all’Eracle-astronauta.
Insomma, un film da spiegare, da tagliuzzare molto (per questioni di tempo), da far digerire abbattendo alcuni pregiudizi sul genere, ma un film che può sicuramente aiutare a far capire come temi di duemila e più anni fa siano ancora attuali e siano in realtà a fondamento dell’essere uomo.
Perché proporre “Voglia di tenerezza”? Beh, l’idea è venuta ad un mio professore della S.S.I.S., ed io ve la giro. Questo film non è altro che la rivisitazione, in chiave moderna, di un famoso dramma di Euripide, l’“Alcesti”. L’opera di Euripide in realtà è un dramma satiresco, il che significa che, pur avendo tutti gli elementi di un dramma, presenta una fine lieta (in questo caso, niente a che vedere con i satiri, a differenza del dramma satiresco classico). Nel caso di “Voglia di tenerezza”, invece, la fine non è per niente lieta, ma tant’è, i personaggi ci sono tutti.
L’opera cinematografica in questione è del 1983 e dimostra assolutamente la sua età nella moda e nelle acconciature dell’epoca. A salvare il tutto, però, ci pensano i protagonisti: una Shirley MacLaine in stato di grazia, una Debra Winger arruffata ma intensa, un Jack Nicholson play-boy in rovina, ed anche un Jeff Daniels che dimostra bene tutta l’indifferenza e la fragilità del suo personaggio. Il regista, James L. Brooks, ha confezionato, tutto sommato, un buon prodotto, che risponde bene allo scopo per cui è stato pensato: e cioè piangere!

Perché proporre “Voglia di tenerezza” a scuola? E come? Beh, c’è da dire che va fatto un forte lavoro preparatorio sul film, spiegando per esempio le nuove funzioni che assumono i personaggi che passano da opera teatrale a film (Alcesti che passa da leggiadra ma forte regina a casalinga disperata, Eracle che diviene astronauta in disgrazia, Admeto che dimostra il suo essere infantile tradendo Emma-Alcesti) e chiarendo il ruolo dei nuovi personaggi (la madre di Emma, l’amica del cuore). È necessario, inoltre, spiegare anche il nuovo finale, con una Alcesti che non torna dal regno dei morti, ma che consegna il marito nelle mani della migliore amica, mentre nel dramma euripideo la protagonista vieta assolutamente al coniuge di risposarsi.
C’è poi da dire che la prima ora e mezza del film, con l’illustrazione dei rapporti di Emma con la madre e con il marito, risulta avere un solo fine, e cioè quello di far affezionare lo spettatore alle vicende della protagonista, per poi infliggergli lo strazio della morte dell’eroina. Interessante invece proprio la scena della morte, assai simile al precedente greco, con Emma che tiene fino in fondo le fila della sua famiglia, che si fa portare i figli, che ammaestra il marito, che consegna la propria famiglia all’Eracle-astronauta.
Insomma, un film da spiegare, da tagliuzzare molto (per questioni di tempo), da far digerire abbattendo alcuni pregiudizi sul genere, ma un film che può sicuramente aiutare a far capire come temi di duemila e più anni fa siano ancora attuali e siano in realtà a fondamento dell’essere uomo.

LE CROCIATE - KINGDOM OF HEAVEN


Insomma, la volontà di non offendere nessuno copre il film di una patina di già visto e di retorica che stanca tutti, a parte coloro che amano le scene di battaglia, i quali, però, non potranno a loro volta fare a meno di pensare con nostalgia al Russell Crowe de “Il Gladiatore”, possente e completamente nella parte, oppure alla scena dell’assedio del Fosso di Helm de “Il Signore degli Anelli”, identica all’assedio di Gerusalemme, con il solito Bloom che corre come un pazzo avanti e indietro sulle mura, o, ancora, alle battaglie di “Troy” con...ops, ancora una volta Bloom.
Per farla breve, io sconsiglio la visione di questo film in classe, a meno che non vogliate far passare due ore di “allegria” ai vostri ragazzi o non vogliate passare due ore a tagliare scene cruente o sexy. Per quanto riguarda gli attori, anche loro sembrano tutti un po’ a disagio: i migliori risultano paradossalmente Edward Norton, invisibile ma molto espressivo dietro la maschera di ferro di Baldovino, e il da noi sconosciuto Ghassan Massoud, saggio e pensieroso Saladino, per nulla feroce, che entra in scena un’ora dopo l’inizio del film, doppiato da Remo Girone.

Il film dovrebbe essere liberamente ispirato a “La crociata” di James Reston, autore che ha intentato causa di plagio contro Scott, vincendola. In realtà, le vicende del film si riferiscono ad un personaggio molto marginale nel libro di Reston. Il romanzo, infatti, è incentrato sulle figure di Riccardo Cuor di Leone e Filippo II Augusto e sulla terza Crociata, mentre nel film vediamo Riccardo solo nella scena finale ed il periodo trattato è quello della tregua tra la seconda e la terza Crociata.
Il sito per approfondire la conoscenza del film è: www.kingdomofheavenmovie.com, mentre quello italiano è www.medusa.it/lecrociate
LINK: teatro elisabettiano
Vi consiglio, per approfondire la conoscenza sul film “Il mercante di Venezia”, i due siti dell’opera, quello ufficiale e quello italiano:
www.mgm.com/uk/merchantofvenice
www.luce.it/istitutoluce/film/mercante
www.mgm.com/uk/merchantofvenice
www.luce.it/istitutoluce/film/mercante
lunedì, novembre 06, 2006
ATTENZIONE: in edicola!
Senza saperlo ho postato ultimamente un argomento che sembra essere attuale! In edicola, con "Donna moderna", troverete, a 4.90 euro in più, tutte le opere di Shakespeare, mentre, con 9.90 euro in più, avrete anche il dvd di un film tratto dalle opere del Bardo inglese. C'è un libro e un dvd alla settimana e, ovviamente, per ogni opera il giornale ha scelto un solo film tra le migliaia creati sulla base delle opere shakespeariane. 

IL TEATRO ELISABETTIANO 4 - LA VITA NEL TEATRO E RIVISITAZIONI
Molteplici sono le opere, soprattutto shakespeariane, che influenzano, anche senza che noi ce ne accorgiamo, il cinema odierno. Ogni anno escono infatti nelle sale cinematografiche almeno due o tre titoli ispirati direttamente o indirettamente alla vita teatrale cinque-seicentesca.
Un esempio può essere quello del “Romeo+Giulietta” del 1996, con Leonardo Di Caprio e Claire Danes, per la regia dello scoppiettante Baz Luhrmann: i due infelici innamorati veronesi, pur continuando a scambiarsi promesse in versi, si trasferiscono nell’assolata Verona Beach, Los Angeles, trasformandosi negli esponenti di due gang rivali, tra sparatorie e drag queen, nello stile più di “West Side Story” piuttosto che del Bardo inglese.
Grande successo ha avuto nel 1998 “Shakespeare in Love”, facendo guadagnare a Gwyneth Paltrow un oscar come miglior attrice. Il film è gustoso, soprattutto grazie alla sceneggiatura, che introduce dialoghi serrati e astuti, ispirati ai motti che il Bardo inseriva nelle sue opere, ed anche all’immagine che ci dà del teatro inglese e della vita che vi si svolgeva, con il divieto assoluto, garantito dalla legge, per le donne di recitare. Il film offre inoltre uno spaccato, seppure romanzato, della Londra elisabettiana e del mondo teatrale in generale, in bilico tra arte e malaffare.
Che succede quando, con il regno di Carlo II, alle donne viene concesso di recitare? Ce lo spiega Richard Eyre che, nel suo “Stage Beauty”, offre la vita di uno degli attori normalmente utilizzati per le parti femminili. Ed Kynaston, l’attrice più bella della Londra del ‘600, è infatti un uomo, costretto a recuperare la sua virilità e a fare i conti con se stesso da quando non è più di moda recitare parti femminili. A tutto questo si collega ovviamente l’immancabile storia d’amore, ma il film, a parte qualche scena, è consigliabile per comprendere come sia stata veramente la vita dei teatranti del XVII secolo, come già abbiamo detto per “Shakespeare in Love”. Tutto il film è giocato, senza riprenderlo integralmente, sull’“Otello”, o, meglio, sulla Desdemona dell’autore inglese, sul suo rapporto con l’altro sesso e sulla sua morte sulla scena. Un film interessante e “diverso”...
Un film interessante, perché basato su una rilettura ardita della “Tempesta” shakespeariana, è “Prospero’s books”, opera del 1991 di Peter Greenway. Il regista, anche grazie l’intensa interpretazione di John Gielgud, riesce a creare un vero e proprio ipertesto, anche grazie alle nuove tecnologie del cinema. La trama non è quella della “Tempesta”, ma si immagina che Prospero ci apra i libri che ha portato con sè in esilio, e che Shakespeare nominava solamente. Tali libri diventano occasione di scoperte affascinanti, guidate dalla straordinaria voce di Gieguld e dalla danza di Michael Clark.
Da segnalare, inoltre, le rivisitazioni giapponesi del grande Akira Kurosawa, come “Throne of blood”, del 1957, con Toshiro Mifune, ispirato a “Macbeth”, e “Ran”, del 1985, ispirato a “Re Lear”.


Un esempio può essere quello del “Romeo+Giulietta” del 1996, con Leonardo Di Caprio e Claire Danes, per la regia dello scoppiettante Baz Luhrmann: i due infelici innamorati veronesi, pur continuando a scambiarsi promesse in versi, si trasferiscono nell’assolata Verona Beach, Los Angeles, trasformandosi negli esponenti di due gang rivali, tra sparatorie e drag queen, nello stile più di “West Side Story” piuttosto che del Bardo inglese.

Grande successo ha avuto nel 1998 “Shakespeare in Love”, facendo guadagnare a Gwyneth Paltrow un oscar come miglior attrice. Il film è gustoso, soprattutto grazie alla sceneggiatura, che introduce dialoghi serrati e astuti, ispirati ai motti che il Bardo inseriva nelle sue opere, ed anche all’immagine che ci dà del teatro inglese e della vita che vi si svolgeva, con il divieto assoluto, garantito dalla legge, per le donne di recitare. Il film offre inoltre uno spaccato, seppure romanzato, della Londra elisabettiana e del mondo teatrale in generale, in bilico tra arte e malaffare.

Che succede quando, con il regno di Carlo II, alle donne viene concesso di recitare? Ce lo spiega Richard Eyre che, nel suo “Stage Beauty”, offre la vita di uno degli attori normalmente utilizzati per le parti femminili. Ed Kynaston, l’attrice più bella della Londra del ‘600, è infatti un uomo, costretto a recuperare la sua virilità e a fare i conti con se stesso da quando non è più di moda recitare parti femminili. A tutto questo si collega ovviamente l’immancabile storia d’amore, ma il film, a parte qualche scena, è consigliabile per comprendere come sia stata veramente la vita dei teatranti del XVII secolo, come già abbiamo detto per “Shakespeare in Love”. Tutto il film è giocato, senza riprenderlo integralmente, sull’“Otello”, o, meglio, sulla Desdemona dell’autore inglese, sul suo rapporto con l’altro sesso e sulla sua morte sulla scena. Un film interessante e “diverso”...

Un film interessante, perché basato su una rilettura ardita della “Tempesta” shakespeariana, è “Prospero’s books”, opera del 1991 di Peter Greenway. Il regista, anche grazie l’intensa interpretazione di John Gielgud, riesce a creare un vero e proprio ipertesto, anche grazie alle nuove tecnologie del cinema. La trama non è quella della “Tempesta”, ma si immagina che Prospero ci apra i libri che ha portato con sè in esilio, e che Shakespeare nominava solamente. Tali libri diventano occasione di scoperte affascinanti, guidate dalla straordinaria voce di Gieguld e dalla danza di Michael Clark.
Da segnalare, inoltre, le rivisitazioni giapponesi del grande Akira Kurosawa, come “Throne of blood”, del 1957, con Toshiro Mifune, ispirato a “Macbeth”, e “Ran”, del 1985, ispirato a “Re Lear”.


IL TEATRO ELISABETTIANO 3 - MARLOWE E JONSON
A finire, giustamente o meno, sugli schermi di mezzo mondo sono state anche le opere di scrittori dell’epoca elisabettiana diversi da Shakespeare, a partire dal suo grande rivale Marlowe.
La sua tragedia “Doctor Faust”, forse la più famosa trasposizione del mito dopo quella di Goethe, compare sugli schermi nel 1967 con due grandi interpreti, che, a dir la verità, rischiano di mettere in ombra l’intero film e di trasformarlo in un peplum: Si tratta di Richard Burton ed Elizabeth Taylor. 
Altro film ispirato ad opere teatrali elisabettiane è “Volpone”, opera di Ben Jonson trasformata in film, anche se per la tv, nel 2003, per la regia di Frederic Auburtin e con la partecipazione di Gerard Depardieu come protagonista e Ines Sastre nel ruolo della moglie di Bertuccio.


Altro film ispirato ad opere teatrali elisabettiane è “Volpone”, opera di Ben Jonson trasformata in film, anche se per la tv, nel 2003, per la regia di Frederic Auburtin e con la partecipazione di Gerard Depardieu come protagonista e Ines Sastre nel ruolo della moglie di Bertuccio.
venerdì, novembre 03, 2006
IL TEATRO ELISABETTIANO 2 - SHAKESPEARE
Impossibile non cominciare perciò con Shakespeare, che tanti spunti ha dato alla letteratura mondiale e al cinema. Il primo film che vorrei segnalarvi è il celeberrimo “Romeo e Giulietta” di Franco Zeffirelli, un’opera del 1967 che meritò due oscar per la fotografia ed i costumi. Zeffirelli riesce a tradurre, con il suo estetismo, il fascino del grande teatro sul grande schermo, arricchendolo inoltre con le splendide musiche di Nino Rota. Da segnalare l’età dei due (perfetti) protagonisti: dopo decenni in cui il cinema hollywoodiano ci aveva abituati a protagonisti molto avanti d’età rispetto all’opera originale, sulla scia della traduzione teatrale del “grande interprete mattatore” (nel 1936 Leslie Howard aveva 43 anni!), ecco che il regista italiano si riavvicina a Shakespeare, scegliendo una Olivia Hussey quindicenne e un Leonard Whiting diciassettenne e costruendo una storia d’amore che sembra più uno scontro di generazioni, una vera e propria lotta dell’amore contro l’odio e la violenza. Parimenti forte è la conclusione, in cui Zeffirelli fa dire al principe: “Tutti puniti!” (gli anziani), contro uno Shakespeare che pacificamente affermava: “Qualcuno sarà perdonato, qualcuno punito”. Da rivelare ai ragazzi proprio questo aspetto, che rende l’opera anche molto ricca di spunti sul tema dell’adolescenza.
Facciamo un salto nel tempo e giungiamo ad un altro bravo regista, che da tempo ci ha abituato alle sue versioni cinematografiche di Shakespeare. Si tratta di Kenneth Branagh, che qui analizziamo per due opere. La prima è l’“Hamlet” del 1996, che lo vede anche protagonista a fianco dell’allora giovanissima Kate Winslet. Impossibile, guardando il film, non pensare al Laurence Olivier del 1948 che Branagh copia anche nel look. Il regista-attore inglese compie un’ardita operazione di trasposizione dell’opera dall’età del “c’è del marcio in Danimarca” al XIX secolo imperiale. L’opera è favolosa e magniloquente, ma ha una gravissima pecca “didattica”: dura oltre quattro ore! Necessaria è dunque una sua severissima riduzione, che tenga conto, comunque, dei tormenti interiori del giovane principe e della sua amata. Il film di Branagh è rutilante di star, da Jack Lemmon a Charlton Heston, da Julie Christie a Billy Cristal, da Gerard Depardieu a Derek Jacobi, ma la magnificenza rischia di offuscare la storia.
Meglio rifugiarsi allora nell’“Amleto” di Zeffirelli, interpretato con sofferenza da Mel Gibson “ante-Passion”, che lo rende un vero e rude principe del nord, alle prese con problemi morali ed etici di cui ignorava l’esistenza. Il film, del 1990, annovera anche, nella parte della regina madre, Glenn Close e offre forse uno spettacolo più in linea con la capacità di comprensione (e di sopportazione, visto che dura molto meno del primo) dei giovani studenti.
L’altro film di Kenneth Branagh che mi sento di consigliarvi è senza
dubbio “Molto rumore per nulla”, opera del 1993, in cui recita anche l’allora moglie dell’attore-regista Emma Thompson. Anche in questo caso le età degli attori sono fuori quota, ma il film resta un’opera gustosa e godibile (certo, anche grazie al testo...), con una messa in scena interessante, grazie anche ai costumi essenziali e alle location ariose e lucenti. Da notare (e da far notare agli studenti), il rispetto per la forma poetica e il riguardo per i serratissimi dialoghi tra Beatrice e Benedetto (Thompson e Branagh, ovviamente...)
Rimanendo all’interno della filmografia shakespeariana di Branagh, ricordiamo inoltre “Othello” (1995), per la regia di Oliver Parker, in cui l’attore inglese interpreta un perfido e sofferente Jago, e “Enrico V”, anch’esso del 1995, in cui Branagh è sia regista che interprete, a fianco di Derek Jacobi
Altro salto nel tempo per tornare alla tragedia shakespeariana di Macbeth, nel film di Orson Welles del 1947, una vera e propria scommessa vinta contro la povertà del budget. Il film fu infatti girato con scarsissimi mezzi, ma la maestria e la forza interpretativa di Welles salvano il tutto, che risulta, anche grazie al gioco di luci (facilmente ed economicamente ottenibile...) un’opera buia e problematica, ma di grande espressività: il buio diventa infatti metafora dell’oscurità dell’animo di Macbeth e della moglie. Perché, allora, non fare un bel confronto con un altro grande regista cimentatosi con “Macbeth”?
Ecco allora profilarsi all’orizzonte l’opera ben più recente (1971) di Roman Polanski, film che ha alle spalle una storia parimenti e forse più sanguinosa dello stesso dramma shakespeariano. Il film , infatti, è la prima opera girata da Polanski dopo la strage di Bel Air, che ritorna ossessivamente al nostro sguardo attraverso l’insistenza del tema dell’assassinio e del sangue. Nonostante questo, il regista segue Shakespeare ma d’altra parte lo reinventa, affidando la coppia re-regina a due attori giovanissimi, in linea con le correnti rivoluzionarie dei primi anni ’70, e costruisce un’opera dall’impianto sobrio e robusto, forse la più aderente al Bardo inglese. La violenza presente in quest’opera, tuttavia, è di quelle che fino ad allora pochi avevano realmente esplorato, e forse pochi avevano realmente vissuto come Polanski.
Ecco ora tornare Laurence Olivier nel film del 1984 “Re Lear”, un esperimento vecchio stile di teatro-tv, contrassegnato dalla nota raffinatezza dell’attore inglese. Per restare in tema, da vedere anche il “Re Lear” di Jean-Luc Godard, del 1987, con la partecipazione di Woody Allen, di Julie Delpy e dello stesso regista. La versione del regista francese è molto originale e si presenta come un tentativo di metateatro: ci viene mostrato infatti un regista che tenta di mettere in scena la tragedia shakespeariana, contornato dagli attori e da uno scrittore (Mailer nel ruolo di se stesso). L’opera sarebbe interessante soprattutto per mostrare i problemi e l’iter attraverso cui si giunge ad una vera e propria messa in scena, ma il film è molto sperimentale e difficilmente “digeribile” da parte di un pubblico giovane. Si consiglia quindi solamente agli appassionati di Godard.
Più leggeri e godibili risultano senza dubbio “The tempest”, ovvero “La tempesta” shakespeariana, film del 1979, diretta da Derek Jarman, che la trasforma in un’opera punk, in linea con l’epoca, e soprattutto
“Sogno di una notte di mezza estate”, del 1999, diretto da Micheal Hoffman e interpretato da Rupert Everett, Michelle Pfeiffer, Kevin Kline, Helena Bohnam-Carter, Sophie Marceau e Stanley Tucci, rispettivamente nei ruoli di Oberon, Titania, Bottom, Helena, Ermia e Puck. L’opera del Bardo viene trasformata, attraverso i potenti mezzi hollywoodiani, in una vera e propria favola scintillante di colori, luci e “orecchie a punta”, in cui i folletti e le fate diventano dispettosi esseri incuranti delle conseguenze delle loro azioni sul genere umano. Questa versione è assolutamente presentabile alle scolaresche, ma deve essere accuratamente motivata.
Infine, ultimo in ordine di tempo (è del 2005), nelle sale è arrivato anche “Il mercante di Venezia”, con la figura di Al Pacino-Shylock che campeggia salda per tutto il film. La Venezia è quella reale, splendidi sono i costumi, esatta la riproposizione della storia, anche se spiace che Pacino e Irons (Antonio), grandissimi nei loro assolo, un po’ si ignorino. Il film è però sicuramente da vedere e, se possibile, da proporre, in un’epoca, come la nostra, in cui gli scontri culturali sono all’ordine del giorno, in cui anche lo stesso Al Pacino ha dovuto aspettare una vita (e finanziamenti italiani, non americani) per interpretare il ruolo che ha sempre sognato, un ruolo scomodo, ma per questo bellissimo, recitato sul filo di lana.

Facciamo un salto nel tempo e giungiamo ad un altro bravo regista, che da tempo ci ha abituato alle sue versioni cinematografiche di Shakespeare. Si tratta di Kenneth Branagh, che qui analizziamo per due opere. La prima è l’“Hamlet” del 1996, che lo vede anche protagonista a fianco dell’allora giovanissima Kate Winslet. Impossibile, guardando il film, non pensare al Laurence Olivier del 1948 che Branagh copia anche nel look. Il regista-attore inglese compie un’ardita operazione di trasposizione dell’opera dall’età del “c’è del marcio in Danimarca” al XIX secolo imperiale. L’opera è favolosa e magniloquente, ma ha una gravissima pecca “didattica”: dura oltre quattro ore! Necessaria è dunque una sua severissima riduzione, che tenga conto, comunque, dei tormenti interiori del giovane principe e della sua amata. Il film di Branagh è rutilante di star, da Jack Lemmon a Charlton Heston, da Julie Christie a Billy Cristal, da Gerard Depardieu a Derek Jacobi, ma la magnificenza rischia di offuscare la storia.

L’altro film di Kenneth Branagh che mi sento di consigliarvi è senza

Rimanendo all’interno della filmografia shakespeariana di Branagh, ricordiamo inoltre “Othello” (1995), per la regia di Oliver Parker, in cui l’attore inglese interpreta un perfido e sofferente Jago, e “Enrico V”, anch’esso del 1995, in cui Branagh è sia regista che interprete, a fianco di Derek Jacobi

Altro salto nel tempo per tornare alla tragedia shakespeariana di Macbeth, nel film di Orson Welles del 1947, una vera e propria scommessa vinta contro la povertà del budget. Il film fu infatti girato con scarsissimi mezzi, ma la maestria e la forza interpretativa di Welles salvano il tutto, che risulta, anche grazie al gioco di luci (facilmente ed economicamente ottenibile...) un’opera buia e problematica, ma di grande espressività: il buio diventa infatti metafora dell’oscurità dell’animo di Macbeth e della moglie. Perché, allora, non fare un bel confronto con un altro grande regista cimentatosi con “Macbeth”?


Ecco ora tornare Laurence Olivier nel film del 1984 “Re Lear”, un esperimento vecchio stile di teatro-tv, contrassegnato dalla nota raffinatezza dell’attore inglese. Per restare in tema, da vedere anche il “Re Lear” di Jean-Luc Godard, del 1987, con la partecipazione di Woody Allen, di Julie Delpy e dello stesso regista. La versione del regista francese è molto originale e si presenta come un tentativo di metateatro: ci viene mostrato infatti un regista che tenta di mettere in scena la tragedia shakespeariana, contornato dagli attori e da uno scrittore (Mailer nel ruolo di se stesso). L’opera sarebbe interessante soprattutto per mostrare i problemi e l’iter attraverso cui si giunge ad una vera e propria messa in scena, ma il film è molto sperimentale e difficilmente “digeribile” da parte di un pubblico giovane. Si consiglia quindi solamente agli appassionati di Godard.
Più leggeri e godibili risultano senza dubbio “The tempest”, ovvero “La tempesta” shakespeariana, film del 1979, diretta da Derek Jarman, che la trasforma in un’opera punk, in linea con l’epoca, e soprattutto


Infine, ultimo in ordine di tempo (è del 2005), nelle sale è arrivato anche “Il mercante di Venezia”, con la figura di Al Pacino-Shylock che campeggia salda per tutto il film. La Venezia è quella reale, splendidi sono i costumi, esatta la riproposizione della storia, anche se spiace che Pacino e Irons (Antonio), grandissimi nei loro assolo, un po’ si ignorino. Il film è però sicuramente da vedere e, se possibile, da proporre, in un’epoca, come la nostra, in cui gli scontri culturali sono all’ordine del giorno, in cui anche lo stesso Al Pacino ha dovuto aspettare una vita (e finanziamenti italiani, non americani) per interpretare il ruolo che ha sempre sognato, un ruolo scomodo, ma per questo bellissimo, recitato sul filo di lana.
IL TEATRO ELISABETTIANO 1

Quella che vi propongo è una cavalcata attraverso lo sterminato mondo dei film che hanno a che fare con il teatro elisabettiano: intendo perciò segnalarvi sia alcune opere che si strutturano come trasposizioni cinematografiche di capolavori del teatro che hanno come autori scrittori del calibro di Shakespeare o Marlowe, sia opere, forse concettualmente più semplici e meno pretenziose, ma in alcuni casi molto gradevoli, che mostrano allo spettatore, seppure senza riprendere trame del ‘500-‘600, la vita e gli usi del teatro dell’epoca. Le opere offerte sono indirizzate innanzitutto ai docenti di inglese, ma possono facilmente venire utilizzate anche da altri docenti, magari coinvolti in vari progetti teatrali, che vi possono rintracciare spunti interessanti.
Cominciamo così la nostra carrellata, suggerendo titoli direttamente presi dalla letteratura inglese del XVI-XVII secolo.
