IL TEATRO ELISABETTIANO 2 - SHAKESPEARE
Impossibile non cominciare perciò con Shakespeare, che tanti spunti ha dato alla letteratura mondiale e al cinema. Il primo film che vorrei segnalarvi è il celeberrimo “Romeo e Giulietta” di Franco Zeffirelli, un’opera del 1967 che meritò due oscar per la fotografia ed i costumi. Zeffirelli riesce a tradurre, con il suo estetismo, il fascino del grande teatro sul grande schermo, arricchendolo inoltre con le splendide musiche di Nino Rota. Da segnalare l’età dei due (perfetti) protagonisti: dopo decenni in cui il cinema hollywoodiano ci aveva abituati a protagonisti molto avanti d’età rispetto all’opera originale, sulla scia della traduzione teatrale del “grande interprete mattatore” (nel 1936 Leslie Howard aveva 43 anni!), ecco che il regista italiano si riavvicina a Shakespeare, scegliendo una Olivia Hussey quindicenne e un Leonard Whiting diciassettenne e costruendo una storia d’amore che sembra più uno scontro di generazioni, una vera e propria lotta dell’amore contro l’odio e la violenza. Parimenti forte è la conclusione, in cui Zeffirelli fa dire al principe: “Tutti puniti!” (gli anziani), contro uno Shakespeare che pacificamente affermava: “Qualcuno sarà perdonato, qualcuno punito”. Da rivelare ai ragazzi proprio questo aspetto, che rende l’opera anche molto ricca di spunti sul tema dell’adolescenza.
Facciamo un salto nel tempo e giungiamo ad un altro bravo regista, che da tempo ci ha abituato alle sue versioni cinematografiche di Shakespeare. Si tratta di Kenneth Branagh, che qui analizziamo per due opere. La prima è l’“Hamlet” del 1996, che lo vede anche protagonista a fianco dell’allora giovanissima Kate Winslet. Impossibile, guardando il film, non pensare al Laurence Olivier del 1948 che Branagh copia anche nel look. Il regista-attore inglese compie un’ardita operazione di trasposizione dell’opera dall’età del “c’è del marcio in Danimarca” al XIX secolo imperiale. L’opera è favolosa e magniloquente, ma ha una gravissima pecca “didattica”: dura oltre quattro ore! Necessaria è dunque una sua severissima riduzione, che tenga conto, comunque, dei tormenti interiori del giovane principe e della sua amata. Il film di Branagh è rutilante di star, da Jack Lemmon a Charlton Heston, da Julie Christie a Billy Cristal, da Gerard Depardieu a Derek Jacobi, ma la magnificenza rischia di offuscare la storia.
Meglio rifugiarsi allora nell’“Amleto” di Zeffirelli, interpretato con sofferenza da Mel Gibson “ante-Passion”, che lo rende un vero e rude principe del nord, alle prese con problemi morali ed etici di cui ignorava l’esistenza. Il film, del 1990, annovera anche, nella parte della regina madre, Glenn Close e offre forse uno spettacolo più in linea con la capacità di comprensione (e di sopportazione, visto che dura molto meno del primo) dei giovani studenti.
L’altro film di Kenneth Branagh che mi sento di consigliarvi è senza
dubbio “Molto rumore per nulla”, opera del 1993, in cui recita anche l’allora moglie dell’attore-regista Emma Thompson. Anche in questo caso le età degli attori sono fuori quota, ma il film resta un’opera gustosa e godibile (certo, anche grazie al testo...), con una messa in scena interessante, grazie anche ai costumi essenziali e alle location ariose e lucenti. Da notare (e da far notare agli studenti), il rispetto per la forma poetica e il riguardo per i serratissimi dialoghi tra Beatrice e Benedetto (Thompson e Branagh, ovviamente...)
Rimanendo all’interno della filmografia shakespeariana di Branagh, ricordiamo inoltre “Othello” (1995), per la regia di Oliver Parker, in cui l’attore inglese interpreta un perfido e sofferente Jago, e “Enrico V”, anch’esso del 1995, in cui Branagh è sia regista che interprete, a fianco di Derek Jacobi
Altro salto nel tempo per tornare alla tragedia shakespeariana di Macbeth, nel film di Orson Welles del 1947, una vera e propria scommessa vinta contro la povertà del budget. Il film fu infatti girato con scarsissimi mezzi, ma la maestria e la forza interpretativa di Welles salvano il tutto, che risulta, anche grazie al gioco di luci (facilmente ed economicamente ottenibile...) un’opera buia e problematica, ma di grande espressività: il buio diventa infatti metafora dell’oscurità dell’animo di Macbeth e della moglie. Perché, allora, non fare un bel confronto con un altro grande regista cimentatosi con “Macbeth”?
Ecco allora profilarsi all’orizzonte l’opera ben più recente (1971) di Roman Polanski, film che ha alle spalle una storia parimenti e forse più sanguinosa dello stesso dramma shakespeariano. Il film , infatti, è la prima opera girata da Polanski dopo la strage di Bel Air, che ritorna ossessivamente al nostro sguardo attraverso l’insistenza del tema dell’assassinio e del sangue. Nonostante questo, il regista segue Shakespeare ma d’altra parte lo reinventa, affidando la coppia re-regina a due attori giovanissimi, in linea con le correnti rivoluzionarie dei primi anni ’70, e costruisce un’opera dall’impianto sobrio e robusto, forse la più aderente al Bardo inglese. La violenza presente in quest’opera, tuttavia, è di quelle che fino ad allora pochi avevano realmente esplorato, e forse pochi avevano realmente vissuto come Polanski.
Ecco ora tornare Laurence Olivier nel film del 1984 “Re Lear”, un esperimento vecchio stile di teatro-tv, contrassegnato dalla nota raffinatezza dell’attore inglese. Per restare in tema, da vedere anche il “Re Lear” di Jean-Luc Godard, del 1987, con la partecipazione di Woody Allen, di Julie Delpy e dello stesso regista. La versione del regista francese è molto originale e si presenta come un tentativo di metateatro: ci viene mostrato infatti un regista che tenta di mettere in scena la tragedia shakespeariana, contornato dagli attori e da uno scrittore (Mailer nel ruolo di se stesso). L’opera sarebbe interessante soprattutto per mostrare i problemi e l’iter attraverso cui si giunge ad una vera e propria messa in scena, ma il film è molto sperimentale e difficilmente “digeribile” da parte di un pubblico giovane. Si consiglia quindi solamente agli appassionati di Godard.
Più leggeri e godibili risultano senza dubbio “The tempest”, ovvero “La tempesta” shakespeariana, film del 1979, diretta da Derek Jarman, che la trasforma in un’opera punk, in linea con l’epoca, e soprattutto
“Sogno di una notte di mezza estate”, del 1999, diretto da Micheal Hoffman e interpretato da Rupert Everett, Michelle Pfeiffer, Kevin Kline, Helena Bohnam-Carter, Sophie Marceau e Stanley Tucci, rispettivamente nei ruoli di Oberon, Titania, Bottom, Helena, Ermia e Puck. L’opera del Bardo viene trasformata, attraverso i potenti mezzi hollywoodiani, in una vera e propria favola scintillante di colori, luci e “orecchie a punta”, in cui i folletti e le fate diventano dispettosi esseri incuranti delle conseguenze delle loro azioni sul genere umano. Questa versione è assolutamente presentabile alle scolaresche, ma deve essere accuratamente motivata.
Infine, ultimo in ordine di tempo (è del 2005), nelle sale è arrivato anche “Il mercante di Venezia”, con la figura di Al Pacino-Shylock che campeggia salda per tutto il film. La Venezia è quella reale, splendidi sono i costumi, esatta la riproposizione della storia, anche se spiace che Pacino e Irons (Antonio), grandissimi nei loro assolo, un po’ si ignorino. Il film è però sicuramente da vedere e, se possibile, da proporre, in un’epoca, come la nostra, in cui gli scontri culturali sono all’ordine del giorno, in cui anche lo stesso Al Pacino ha dovuto aspettare una vita (e finanziamenti italiani, non americani) per interpretare il ruolo che ha sempre sognato, un ruolo scomodo, ma per questo bellissimo, recitato sul filo di lana.

Facciamo un salto nel tempo e giungiamo ad un altro bravo regista, che da tempo ci ha abituato alle sue versioni cinematografiche di Shakespeare. Si tratta di Kenneth Branagh, che qui analizziamo per due opere. La prima è l’“Hamlet” del 1996, che lo vede anche protagonista a fianco dell’allora giovanissima Kate Winslet. Impossibile, guardando il film, non pensare al Laurence Olivier del 1948 che Branagh copia anche nel look. Il regista-attore inglese compie un’ardita operazione di trasposizione dell’opera dall’età del “c’è del marcio in Danimarca” al XIX secolo imperiale. L’opera è favolosa e magniloquente, ma ha una gravissima pecca “didattica”: dura oltre quattro ore! Necessaria è dunque una sua severissima riduzione, che tenga conto, comunque, dei tormenti interiori del giovane principe e della sua amata. Il film di Branagh è rutilante di star, da Jack Lemmon a Charlton Heston, da Julie Christie a Billy Cristal, da Gerard Depardieu a Derek Jacobi, ma la magnificenza rischia di offuscare la storia.

L’altro film di Kenneth Branagh che mi sento di consigliarvi è senza

Rimanendo all’interno della filmografia shakespeariana di Branagh, ricordiamo inoltre “Othello” (1995), per la regia di Oliver Parker, in cui l’attore inglese interpreta un perfido e sofferente Jago, e “Enrico V”, anch’esso del 1995, in cui Branagh è sia regista che interprete, a fianco di Derek Jacobi

Altro salto nel tempo per tornare alla tragedia shakespeariana di Macbeth, nel film di Orson Welles del 1947, una vera e propria scommessa vinta contro la povertà del budget. Il film fu infatti girato con scarsissimi mezzi, ma la maestria e la forza interpretativa di Welles salvano il tutto, che risulta, anche grazie al gioco di luci (facilmente ed economicamente ottenibile...) un’opera buia e problematica, ma di grande espressività: il buio diventa infatti metafora dell’oscurità dell’animo di Macbeth e della moglie. Perché, allora, non fare un bel confronto con un altro grande regista cimentatosi con “Macbeth”?


Ecco ora tornare Laurence Olivier nel film del 1984 “Re Lear”, un esperimento vecchio stile di teatro-tv, contrassegnato dalla nota raffinatezza dell’attore inglese. Per restare in tema, da vedere anche il “Re Lear” di Jean-Luc Godard, del 1987, con la partecipazione di Woody Allen, di Julie Delpy e dello stesso regista. La versione del regista francese è molto originale e si presenta come un tentativo di metateatro: ci viene mostrato infatti un regista che tenta di mettere in scena la tragedia shakespeariana, contornato dagli attori e da uno scrittore (Mailer nel ruolo di se stesso). L’opera sarebbe interessante soprattutto per mostrare i problemi e l’iter attraverso cui si giunge ad una vera e propria messa in scena, ma il film è molto sperimentale e difficilmente “digeribile” da parte di un pubblico giovane. Si consiglia quindi solamente agli appassionati di Godard.
Più leggeri e godibili risultano senza dubbio “The tempest”, ovvero “La tempesta” shakespeariana, film del 1979, diretta da Derek Jarman, che la trasforma in un’opera punk, in linea con l’epoca, e soprattutto


Infine, ultimo in ordine di tempo (è del 2005), nelle sale è arrivato anche “Il mercante di Venezia”, con la figura di Al Pacino-Shylock che campeggia salda per tutto il film. La Venezia è quella reale, splendidi sono i costumi, esatta la riproposizione della storia, anche se spiace che Pacino e Irons (Antonio), grandissimi nei loro assolo, un po’ si ignorino. Il film è però sicuramente da vedere e, se possibile, da proporre, in un’epoca, come la nostra, in cui gli scontri culturali sono all’ordine del giorno, in cui anche lo stesso Al Pacino ha dovuto aspettare una vita (e finanziamenti italiani, non americani) per interpretare il ruolo che ha sempre sognato, un ruolo scomodo, ma per questo bellissimo, recitato sul filo di lana.
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